Intervista a Maurizio Laudi
Maurizio Laudi, 58 anni, da cinque dirige la Direzione distrettuale antimafia di Torino. Magistrato dal 1974, giudice istruttore fino al 1990, si è occupato prevalentemente di terrorismo e, per quanto riguarda la criminalità organizzata, di indagini sul clan dei Catanesi. Nel consiglio superiore della magistratura dal 1990 al 1994, dal 1995, come procuratore aggiunto, si è occupato di reati contro la pubblica amministrazione, senza abbandonare il filone delle indagini sul terrorismo.
Dottor Laudi, come ricorda il panorama criminale piemontese negli anni 70 e 80?
La nostra Regione ha vissuto una stagione critica in quel periodo: erano attivi prevalentemente gruppi ’ndranghetisti e siciliani con una prevalenza dei primi sui secondi, mentre la presenza della Camorra è sempre stata marginale. Furono perpetrati gravi reati, dall’omicidio al sequestro di persona. La risposta istituzionale all’inizio non fu pronta perché le forze investigative erano concentrate prevalentemente sul terrorismo, mentre fu decisamente più efficace negli anni 80. L’ultimo grande processo, denominato “Cartagine”, dei primi anni 90, favorì scelte collaborative di un certo spessore che determinarono uno scompaginamento dell’equilibrio consolidato dei gruppi di criminalità organizzata del torinese.
E oggi?
La presenza palese di gruppi definibili di matrice mafiosa è molto attenuata. I più attivi sono quelli calabresi.
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